Niccolò Ammaniti: Che la festa cominci

Ho comprato questo libro perché Niccolò Ammaniti mi piace. Nonostante le sue ambientazioni cupe, i suoi personaggi tristi e anche un po’ sfigati. Nonostante il suo Come dio comanda, e nonostante non ci abbia risposto alla richiesta di intervista che gli abbiamo inviato un anno fà (ma questo è un bieco moto di orgoglio ferito!)

Tutta questa premessa per dirvi che non ero affatto prevenuta quando mi sono accinta a leggere questo suo ultimo romanzo, Che la festa cominci (Einaudi, 18.00 €). E vi dirò, per circa i due terzi mi è anche piaciuto: due i protagonisti: da una parte lo scrittore famoso, ma segretamente in crisi, Fabrizio Ciba: simpatico, sarcastico, scanzonato e anche un po’ “piacione”. Dall’altra Saverio Moneta, alias Mantos, che nella vita normale è marito frustrato di una donna arida e padre di due gemelli, che lavora in un mobilificio (reparto mobili tirolesi) alle dipendenze di un suocero-padrone che lo tiranneggia; e la notte è a capo di una sfigata setta satanica. Anche lui, nonostante la sua vita patetica che si concentra nel suo paese, Oriolo Romano, appare simpatico, a volte involontariamente, ma pur sempre simpatico, e in fondo ci fa tenerezza.

I destini dei due protagonisti che per i due terzi del libro scorrono separatamente, e anche piacevolmente, si incrociano in modo disastroso nell’ultima parte del libro, durante un’improbabile festa organizzata in un’improbabile Villa Ada da un palazzinaro, assurdo proprietario della Villa stessa (che, per i non romani, nella realtà è un parco pubblico).

Ammaniti in quest’ultima parte dà libero sfogo alla sua fantasia come se paradossalmente non ne avesse più. Le situazioni più inverosimili vengono descritte in un vortice di vuotezza intellettuale che mi ricorda Isabelle Allende nella trilogia per ragazzi (quella de La città delle bestie, per intendersi).

Sembra quasi un escamotage: come se, non avendo più idee, inventare storie ridicole e prive di senso fosse la soluzione per concludere un libro che all’inizio, tutto sommato prometteva benino, ma che alla fine non si vede l’ora che la festa finisca!

Non sarà che per caso che Ammaniti, nel descrivere Ciba, scrittore col blocco creativo, si sia ispirato un po’ a se stesso? In questo caso sarebbe meglio che si prendesse una vacanza piuttosto che intaccare la sua reputazione pubblicando romanzi come questo.

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