archivio | 21 gennaio 2013

Palazzo Altemps episode 2: intolleranza religiosa

OFC 4Come anticipato qualche settimana fa, oggi sono qui a raccontare un episodio assai spiacevole che ci è capitato mentre visitavamo Palazzo Altemps.

La nostra guida preferita ce l’aveva già annunciato: la descrizione scientifica del ciclo pittorico del Pomarancio non è gradita a tutta la Chiesa che a volte, temendo di tirar fuori cadaveri dagli armadi, considera i suoi seguaci un po’… fresconi, e preferisce nascondere scomode verità invece di affrontarle insieme ai fedeli con spirito critico.

Veniamo ai fatti: durante la visita a Palazzo Altemps, eravamo ancora nella loggia e sentivamo dei canti provenire dalla adiacente chiesa di S. Aniceto. Già la guida si era meravigliata, visto che solitamente non vi vengono celebrate messe. Dopo poco è uscito un tale con abiti talari chiedendoci di parlare piano, perché stavamo disturbando le celebrazioni. Scusandosi, la dottoressa Ponti ha approfittato per chiedergli a che ora avrebbero terminato, e abbiamo avuto la rassicurazione che alle 12 saremmo potuti entrare. Vabbè, avremmo allungato un po’ la nostra permanenza, ma doveva valerne la pena.

Nell’attesa ci siamo seduti in una saletta ad aspettare e la dott.ssa Ponti (d’ora in poi Stefania!) ci ha raccontato con molta precisione sia gli accadimenti che avevano portato alla morte di Roberto Altemps, sia il ciclo pittorico commissionato per vendicarlo.

Per chi non ricorda il post precedente o non avesse voglia di leggerlo vi riporto quanto già scritto:

Roberto, il figlio naturale di Marco Sittico Altemps, aveva sposato una Orsini, famiglia nemica acerrima di papa Sisto V. Il papa quindi, per vendicarsi di questa alleanza suggellata col matrimonio, accusò Roberto di adulterio e lo fece decapitare. Senza sapere però che Roberto aspettava dalla moglie un figlio maschio, Giovanni Angelo Altemps, che quindi nacque orfano di padre. Per vendicarsi costui fece dipingere dal Pomarancio, nella chiesa di S. Aniceto ospitata nel palazzo, un ciclo pittorico che racconta la decapitazione del padre Roberto e insinua l’accusa di omicidio rivolta proprio a Sisto V. A dimostrazione di ciò possiamo osservare i putti affrescati sulle pareti che portano in mano strumenti di tortura; un obelisco che indica senza errore la presenza del papa (noto per aver spostato molti obelischi di Roma); il ponte con il fulmine che simboleggia la volontà di rompere i rapporti con il Vaticano. Insomma un’interpretazione scientifica questa, che contrasta con quella ufficiale ecclesiastica la quale insiste nel voler vedere nel ciclo pittorico descritto la storia di papa Aniceto.

Veniamo a noi: alle 12.10 siamo educatamente entrati in chiesa mantenendo comunque il silenzio, giacché missa  ancora non est.

Aspettando rispettosamente e in religioso (è proprio il caso di dire) silenzio che fedeli e prelati lasciassero la chiesa, siamo stati avvicinati dal prete (?), tale don Riccardo Petroni, che in modo arrogante e aggressivo ci ha invitato a uscire finché non avessero risistemato tutto. E che avrà avuto? La sindrome da Jewish mother? La malattia della casalinga pignola? Stefania gli ha fatto notare che a noi la chiesa andava benissimo così, un po’ fumosa, e puzzolente di incenso. D’altra parte ci trovavamo in un luogo pubblico, avevamo pagato il biglietto per entrare e quindi avevamo diritto di concludere la nostra visita guidata. Tantopiù che nessuno può vietare l’ingresso in una chiesa, ancorché si stia celebrando la messa. Certo, in attesa che il rito fosse terminato, saremmo rimasti tutti in ossequioso silenzio.

E invece no. Il prete si è arrabbiato, ci ha detto che avevano “affittato” la chiesa dalle 9.00 alle 13.30 (Affittato? Ma va? E la pigione sarà stata esentasse, così come è abitudine del Vaticano?); ha cominciato a insultare guida e gruppo chiamandoci villani e, tentando di sovrastare la voce di Stefania, ha cercato di spiegarci l’affresco “incriminato” secondo la sua versione.

Sembrava un film: Stefania che gridava la sua esposizione sul ciclo pittorico; il prete che faceva lo stesso; noi del gruppo, indignati per il trattamento, pretendevamo di proseguire la visita con la dottoressa Ponti. Stefania, donna eccezionale che nel suo lavoro non si lascia intimidire da nessuno, ha chiamato in causa la responsabile del museo, che è intervenuta in nostra difesa. Il prete con un fasullo tono condiscendente ha cercato di riprendersi senza peraltro riuscire a sedare quella che ormai era diventata una rivolta popolare.

Poi abbiamo capito che il gruppo di religiosi non era un gruppo “qualsiasi”. Si trattava di Familia Christi;  la soprintendenza ai beni culturali aveva concesso loro di svolgere la messa nella chiesa di S. Aniceto a Palazzo Altemps. Non solo quel giorno, ma tutte le domeniche (e non solo); naturalmente gratis, e naturalmente senza segnalarlo ai visitatori. Non credo che un trattamento di favore simile sarebbe stato concesso a chiunque. Il prete dunque, sapeva di poter contare su una “protezione” speciale.

Ma la cosa più importante che è emersa da questo spiacevole incidente diplomatico, è che la religione – qualunque essa sia – dovrebbe avvicinare la gente, non allontanarla. Non ho mai visto cacciare delle persone (rispettose) da una chiesa. I parroci accolgono, aggregano; certo non respingono, non escludono. Escludere, cacciare, allontanare è tipico di chi vuol nascondere qualcosa di illecito, qualcosa di segreto. Una setta forse, ma non certo una religione (quasi) di Stato.